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della collina molisana
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Padre

ALESSANDRO CRISTOFARO

(Ripabottoni 28 Luglio 1921 - Campobasso 15 Novembre 2002)

Pietro Ramaglia insigne clinico

tratto da'
ARCHIVIO STORICO MOLISANO Anno IV/V - Dicembre 80/81.
Edito a cura dell'Associazione di Storia Patria del Molise

(Pagine da 166 a 170)


una scuola privata, che a Napoli e nel Regno esistevano "d'ogni genere" e qual "frutto spontaneo della coltura e della massa dei lumi", secondo il Rapporto sullo stato del Regno di Napoli, per gli anni 1810 e 1812, presentato al Re nel suo Consiglio di Stato, dal ministro dell'Interno Giuseppe Zurlo (p. 34).
Un "fonte" di tal istruzione, ben noto e per i buoni maestri e per la frequenza dei discepoli, esisteva anche a Toro, "terricciuola non oscura della provincia di Molise" (20). Domenico Trotta (1792-1872),laureato in legge all'università di Napoli, studioso di filosofia alla quale era per temperamento portato, aveva aperto due o tre anni, dal 1820, una scuola di filosofia e di diritto e dovette chiuderla per motivi politici.
Mutato l'assetto politico e lasciato in pace, Trotta, che nel forzato ritiro "si era appropriato molte cognizioni, vien fuori e torna all'insegnamento della filosofia e del diritto teoretico e positivo con tutto l'animo allora" (p. 82s). La sua scuola durò trent'anni e produsse una gioventù che fu avuta in pregio per bella e positiva istruzione e nel loro numero di questi si ricorda, qual vanto e lustro, lo studente Pietro Ramaglia, "ultima onorata reliquia, che fu della gloria scuola medica napoletana" (p. 85).
Il Trotta si vide crescere di anno in anno, in fama e in numero, discepoli di ogni parte di Molise e da altre province confinanti, perché insegnava bene: "Effondeva l'ingegno suo comunicativo alla scuola con semplice ed ordinato eloquio, con forma schietta, premurosa, benevola, e traeva al corso dei suoi pensieri l'intelligenza e l'anima dei discepoli. Non incominciava le lezioni, se prima non ne avesse investigato l'indole e lo stato delle conoscenze, se non valutato gli studi già fatti innanzi da quelli presso altri maestri; laonde, movendo dal punto, av'era arrivato il sapere da loro acquistato, di grado in grado, con progresso continuo e successivo, sempre rischiarando le loro menti, rendendole sempre avide e vaghe di conoscere, li conduceva al punto, sino al quale era possibile giungere . Questo profitto faceva vivo l'affetto al maestro ed alla scienza da lui insegnata;


(20) Cf. [Trotta Luigi AlbertoJ, Della vita e delle opere di Domenico Trotta. Ricordi e compianti. Napoli 1873,p.73,n. l.Dello stesso cf. anche Della vita e delle opere di Domenico Trotta e dei suoi tempi nella Provincia di Molise. Commentario di Luigi Alberto Trotta. Modena 1881.
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come aveva mantenuto l'occupaz.ione con ardore eguale e nuovo costantemente (P. 84).
E i discepoli "lo amarono, mentre lo ebbero udito; più ancora amavanlo, come un bene perduto, allorché da lui erano divisi" (p.84).
Il Ramaglia, quando venne alla scuola di Domenico Trotta per apprendervi filosofia, proveniva dal Seminario di Larino, con attestazioni di «alunno studiosissimo»; ma pur avendo indole ed ardore agli studi e buona memoria e pur sapendo «ridire molte cose», erano «voci di libri, ricantate fedelmente, ma il senso loro non l'aveva inteso»(p. 86).
ll maestro, prima di ammetterlo alle sue lezioni, cercò di conoscere del discepolo l'interno stato dell'anima, le sue intenzioni, il suo acume intellettivo e gli propose una prova: se le cose di che aveva piena memoria, e delle altre di che voleva acquistare la cognizione, non penetrasse con la mente il valore intimo, avrebbe abbandonato lo studio.
Il Ramaglia aveva trovato il maestro che cercava, che poteva accontentare il suo ardore di sapere. Si assoggettò volentieri alla prova, che risultò pienamente positiva: il maestro interrogò, scandagliò la forza dell'intelligenza e scoprì «lo stato dell'anima simigliante quello di uomini illustri, ch'ebbero alta idea della scienza e del loro ingegno umile coscienza».
- Il maestro, allora, iniziò le lezioni e lo accompagnò con comunione di studi, di affetti, di pensieri; e il discepolo aprì la mente a ciò che gli fu palesato e instillato a quel modo, e lo tenne entro; l'ingegno si afforzò e proseguendo egli ad imparare, diventò un medico eccellente e raro (p. 86s).
Il Ramaglia non dimenticò mai il suo maestro, mente non soltanto speculitiva, ma anche indole dolcissima, patriarca a capo di una famiglia unanime che, come un savio antico, passò spargendo massime morali e precetti d'igiene.
Già professore universitario il Ramaglia, visitato dal vecchio maestro, appena lo scorge, si alza dalla cattedra e alle centinaia di studenti: «Signori, è questo il mio maestro - dice; da lui tengo quanto ho imparato. La gloria che ho colto dagli studi, non o me, ma bene a lui si appartiene; a me è dovuta soltanto la colpa di non essermi levato più su dell'erto colle del sapere, dietro al proficuo ammaestramento ch'egli mi ha dato» (p. 86)



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Quando seppe che il maestro era morto, lo pianse come «padre del suo intelletto»; «incoronò il ritratto di lui e di preziosa cornice lo cinse; lo pose nello studio e lo mostrava a nazionali e forestieri»; e scrisse una commovente lettera ai figli del defunto maestro:«Poco meno del vostro, miei cari e amati amici, è stato il mio pianto ed è il mio dolore per la morte di vostro padre; ché, se voi avete pianto in lui il genitore e della sua perdita vi dolete, io ho pianto e mi dolgo della perdita di colui, che informò il mio cuore a nobili sentimenti ed al vivere onesto, e fummi guida ed indirizzò i miei passi nel difficile sentiero delle scienze; e se è vero che io m'abbia meritato alcuna cosa, tutto è stata opera delle mie fatiche sulle orme tracciatemi da lui, senza le quali non so ove trovato mi sarei. Ei vuolsi oggi qualche conforto, il quale principalntente si deve sperare dal beneficio del tempo, e poi dal ricordare che è morto un uomo colmo di pregi e di virtù, che lascia cara e rispettata memoria di sé in quanti lo conobbero o per fama lo seppero, che in morendo fu confortato dagli aiuti della nostra santa religione, che insieme alle sue virtù lo avviarono per i fioriti sentieri della speranza, agli eterni campi ed a quel premio che ogni nostro desiderio avanza. Egli di presente nel Cielo di vera pace si gode e si pasce di un saper certo, che senza verun raffronto supera quello che in terra tra noi si aveva e che tanto amava.
Non altro, miei carissimi amici, saprei dire e fare in questa lugubre condizione. Vogliatemi un poco del vostro bene come eredità di quel molto, che il defunto genitore mi voleva, ed io in ricambio, rendetevene certi, non potendo più amar lui, passo a voi l'amor mio.
Di Napoli,il dì dicembre 1872.Pietro Ramaglia»
(21).
Trasferitosi, dal «maestro del villaggio» alle sacre aule del Regio collegio Medico di Napoli, il giovane Ramaglia conobbe ristrettezze economiche, ma non inceppamenti intellettuali, e nel nuovo ambiente si fece notare ben presto per acume d'intelligenza e per applicazione allo studio.
Era il periodo in cui nel campo medico-chirurgico ferveva la lotta fra le due contrarie scuole del Brown e del Rasori ed erano «dispute sterili», «noiose diatribe di accademie», un «distillarsi il cervello», «giuocar di sofismi e di arzigogoli».



(21) Le pagine citate nel testo si riferiscono alla già citata opera di Luigi Alberto Trotta, Della vita e delle opere..., Modena 1881. Cf. anche dello stesso, Domenico Trotta di Toro, in Albino Pasquale, Biografie e ritratti degli uomini illustri della Provincia di Molise, vol. II, Campobasso 1865, pp. 142-162.

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A principio la giovane mente del Ramaglia, «in mezzo a si grande pompa di parole e povertà di concetti, rimase smarrita e quasi sfiduciata»; e si rivolse, allora, con ardore all'anatomia, perchê solo in essa trovava nozioni «chiare e positive» (22).
Sembrerà «favola» ai posteri l'abnegazione e le improbe fatiche sopportate dall'illustre clinico napoletano per raggiungere il suo ideale. Il prof. Biondi, discepolo e amico del Ramaglia, illustre anche lui nella disciplina «sacra» della medicina, ricorda: «A quei tempi era vietato ai giovani studiosi il rimanere di sera nei teatri anatomici dell'Ospedale degl'Incurabili, ed il Ramaglia tanto pregò l'infermiere, che aveva l'incarico di chiuderli a chiave al tramonto, che spesso ottenne di farsi rinserrare la notte in quei luridi sepolcri, e rimanervi sino alla dimane per proseguire i suoi intrapresi lavori. Il vecchio Nicola Maione più che ottuagenario ancora vivo, narra commosso questa storia di amore per la scienza, perché era egli appunto che lo chiudeva nei teatri la sera dei rigidi verni, e ne lo rilevava furtivamente all'alba del dimani»(23).
La sua sete di sapere non conobbe soste e la sua chiara fama allargava sempre più i confini, anche se non scevra di ostacoli: da assistente universitario, divenne, poi, «il primo fra i primi Professori» chiamato per la sua «sapienza», e non dal «venale intrigo», come medico dell'allora casa regnante, non fu contaminato mai dal contagio dell'orgoglio, «non si immischiò nella politica, né aspirò mai agli onori della vita pubblica; e giova notarlo, senza intenzione di lode o di biasimo, per l'obbiettività della constatazione» (24). Ed anche dopo tale nomina il Ramaglia visse senza macchia, serbando la stima universale.
Fatto segno, per bassa invidia, a motteggi epigrammatici, e spesso a satire virulenti, «don Pietro» rimaneva impassibile nella sua serenità, mai trovò una parola di livido rancore per i suoi nemici e, forte nella coscienza del cittadino integerrimo, proseguiva imperturbato per la via dei suoi doveri. Continuando a spigolare tra le testimonianze di discepoli, amici, colleghi, conoscenti dell'illustre caposcuola napoletano, sappiamo


(22) Cf. Capozzi prof. Domenico, Poche parole dette innanzi al feretro del cav. Pietro Ramaglia, Napoli 1875, P. 4.
(23) Biondi prof. Giuseppe, Poche parole..., p. 4s.
(24) Masciotta Giambattista, o.c., p. 362.

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che anche quando dal «tugurio» passò alla «Reggia», il Ramaglia «sempre a compagna la modestia serbò seco della campagna»; dotto senza superbia, affabile con tutti, la benevolenza formava la base del suo carattere morale; pensatore egregio e uomo nobile, «non insuperbì giammai» ed era «prestevole» con tutti, dando «con la parola quel conforto che la scienza non sempre poteva offrire, a chi gli chiedeva aita »; amico del nobile, non disdegnò l'umile e ricchi e poveri accoglieva tutti con lo stesso sorriso, mai sordo alla voce dei sofferenti: «Amico di tutti, aveva per tutti una leale e fraterna parola, mai un bugiardo accento usciva dal suo labbro; pieno di carità per la miseria, rimaneva ore intere alla osservazione del miserabile con lo stesso o maggior zelo, che impiegava per il nobile dovizioso. Ogni sua giornata offriva una messe di oro, ed egli sapeva trovarne una per settimana, che dedicava gratuitamente agli infelici, che si dibatteano tra i morbi e la miseria. Torme di miserabili infermi accorrevano a casa Ramaglia ogni giovedì, e se ne tornavano commossi per averne udita la confortante e caritatevole parola. Ripetono ancora queste mura [della sua casa] l'eco delle benedizioni, con le quali , quella sventurata gente se ne tornava al lurido tugurio, e quando qualcuno mostrava la impossibilità di procurarsi i mezzi che lo illustre clinico gli proponeva, spesso se gli vedeva forniti dalla evangelica carità del Ramaglia. E tutto ciò era operato senza iattanza, e così umilmente, come fa colui, che sente niente altro che di aver compito un semplice dovere» (25).
Una lenta ed indomabile malattia alla vescica scosse la ferrea natura del Ramaglia, ma gli ozi della campagna fecero rifiorire la sua salute ed egli ne approfittò, continuando i suoi studi nel portare a termine la monografia sulla «Menengite basilare», cui dette il titolo tre giorni prima della sua morte, e che sarà «il testamento scientifico del grande uomo».
Aggravatosi di nuovo, il suo animo non si sgagliardì e con la


(25) Biondi prof. Giuseppe, Poche parole..., p. 2. Cf. anche Capozzi prof. Domenico, Poche parole...; (E.F.), I funerali di Pietro Rantaglia,in Gazzetta della Provincia di Molise - Ufficiale per gli annunzi giudiziarii ed amministrativi. - Anno Nono - Campobasso l3 giugno 1875, n. 26; Limoncelli dottor Giovannangelo, Poche parole pronunciate sul feretro del Prof. Pietro Ramaglia, ivi, 20 giugno 1875, n.27; Pietra- valle dottor Paolo, Pietro Ramaglia di Ripabottoni,ivi,l8luglio 1875, n' 3l; Bucci Diodato, art. cit. p.48s.

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