di Giovanni Lepore

Notizie storiche sulla comunità di Ripabottoni

EDITRICE SAN MARCO - Trescore Balneario (Bergamo)

EDIZIONE FUORI COMMERCIO donata al Municipio di Ripabottoni

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Panorama di Ripabottoni Circondata di fossi, la parte più antica del paese è costruita sopra uno scoglio di tufo, a metà costa di una montagna alta novecentotré metri. Lo stato dei luoghi spiega il nome dato al borgo: 'ripa' è localmente intesa come fianco, orlo di una costa o dirupo. La seconda parte del nome si presenta nei documenti in forma singolare e plurale: -buttonis e -butinorum; -de butono e -de butonis; Ripabottone e Ripalibottuni. Il suo etimo è incerto. Deriva forse da un nome di persona e, nella forma più antica (de Brittonis) registrata nel Catalogo dei Normanni, può cogliersi un richiamo all'etnico bretone, pur se va rilevato che l'edizione critica del documento suggerisce di correggere la lettura del passo: de buttonis e non de brittonis. L'aggiunta potrebbe infine, come la prima parte del nome, riflettere a sua volta lo stato del luogo: richiamarsi cioè alla parola italiana "bottini" nel significato di "fosso" e, per suo tramite, ad un grecismo dal greco "bothinos".

Il territorio del paese è solcato da due tratturi: la millenaria pista erbosa che, legando l'Abruzzo alla Puglia, costituiva l'arteria centrale dell'antica pastorizia sannitica; e il tratturo che da Centocelle porta alla Taverna del cortile lungo un cammino che gli studiosi fanno coincidere con quello della strada romana che da Gerione, la città incendiata da Annibale, giungeva all'antica Boiano.

Gli scavi condotti nei dintorni del paese hanno portato alla luce non pochi reperti archeologici: monete greche e latine, lucerne, statuette e, degna di particolare nota, una iscrizione sepolcrale databile in un periodo che va dalla seconda metà del primo secolo al secondo secolo dell'impero romano.

L'agro che circonda il paese ebbe in passato anche altri centri abitati. Il ricordato Catalogo dei Normanni , che registra una leva militare fatta tra il 1150 e il 1168, ricorda Montecastello Castello, nome dato ancora oggi ad un monte nella contrada di Torre di Zeppa. Qui, in età più tarda, sorgerà una chiesa ornata di una pala d'altare del tardo Cinquecento, recante l'Allegoria dei Sette Sacramenti, che oggi si ammira nella chiesa parrocchiale di S.Elia a Pianisi.

In epoca angioina il borgo subì incendi e razzie ad opera dei camerari di Centocelle e di Pianisi. E' la prima di una serie di lotte che i cittadini sosterranno in seguito contro le pretese territoriali dei confinanti e contro le mire dei baroni, in difesa delle libertà locali di pascere, far legna ed attingere acqua nel territorio. Nella signoria del paese si sono alternate alcune tra le famiglie più qualificate del Regno di Napoli. La comunità fece parte dei potenti stati feudali dei Montagano, dei di Capua, dei Carafa. Ebbero il titolo di principe di Ripa Paolo Francone, i suoi successori e i Caracciolo di Torchiarolo. Aggiungeremo, in rapida rassegna, che sul finire del Cinquecento il comune, 'per sovvenire i poveri cittadini exausti di grano per la mala raccolta e far sì che essi possano sementare et vivere' e per i guasti arrecati da una banda di quattrocento armati, contrae prestiti per millecinquecento ducati, offrendo in garanzia la rendita del bosco della Lama Longa. Ma la comunità è in grado di riprendersi e già nei primi anni del Seicento mantiene un ospedale a sei stanze, con il doppio compito di curare i malati e di accogliere anziani, poveri, pellegrini.

Intanto mercanti forestieri e locali estendono i loro commerci nel Regno di Napoli, acquistano tenute agrarie anche in terre lontane, come a S.Vito dei Greci, mentre sui mercati della capitale sono assai pregiate le qualità di grano del nostro paese. Più tardi fiorirà l'industri adella seta, una attività ancora oggi ricordata nel nome dato alla via dei Gelsi.

Nel settecento si dà avvio al restauro della chiesa di S.Maria della Concezione e della nuova chiesa foranea di S.Michele; viene ampliato il palazzo baronale; e il 2 maggio 1731, su disegno del Sanfelice, è posta la prima pietra dell'attuale chiesa parrocchiale. L'abitato intanto acquista una sua tipica impronta che si esprime nel decoro delle case 'palazziate' e di quelle più umili, le une e le altre impreziosite da manufatti in pietra finemente lavorati da pazienti e geniali scalpellini. Viene in tal modo consegnato alle nuove generazioni un raro, prezioso patrimonio che esige nei cittadini e nelle commissioni edilizie affettuosa attenzione e rigorosi provvedimenti di tutela.

Ricorderemo qui di seguito alcuni cittadini che in passato attinsero meriti degni di alta riconoscenza, iniziando dai pittori GIOVAMBATTISTA e PAOLO GAMBA.

I Gamba risiedono stabilmente a Ripabottoni fin dalla prima metà del Seicento quando, proveniente da Campobasso, vi giunge Paolo Antonio. Egli sposando Rocca Mastrosanto, s'imparenta con una delle più ragguardevoli famiglie del luogo, la quale vanta, in quegli anni, tre operosi notai.

Paolo Antonio avrà cinque figli, dei quali il primo, il pittore Giovambattista, nasce a Campobasso.

Giovambattista lascia segni della sua arte a Sulmona, nella chiesa dell'Annunziata e in case private; ed a Pescolanciano, dove esegue il restauro della Gloria del Paradiso nella collegiata della Madonna del Colle e dipinge nel coro alcuni medaglioni.

Il 'magnifico' Giovambattista fu sepolto, 'con il rito spettante ai nobili', nella nuova parrocchiale ripese di S.Maria Assunta. Egli lasciò il suo patrimonio al figlio superstite Paolo, riservando alla Chiesa, per messe ed esequie, il cospicuo lascito di quaranta ducati.

Istituito dal padre nella pittura, Paolo fu accolto a Napoli dal Solimena nello studio dove 'esercitavano la pittura, rendendo la scuola onorata ed illustre', i già ricordati Paolo Francone, principe di Ripa, e il Sanfelice.

Paolo ebbe solida cultura e dettò versi piacevolmente mordaci nel corso della travagliata esecuzione delle Allegorie delle virtù affrescate nella navata centrale della parrocchiale di Ripabottoni.

Di ingegno versatile e subito noto come 'dilettante di archeologia', disegnò l'anfiteatro romano di Larino, plasmò alcune statue sacre, costruì due orologi meccanici. Come pittore ebbe poderosa fertilità: uno studioso conta sessanta suoi dipinti, un secondo ne annovera duecento. Tele ed affreschi di Paolo sono visibili in larga misura nelle chiese ripesi dell'Assunta e della Concezione e in numerose altre, disseminate in Puglia, in Abruzzo, a Montecassino e presso privati, lungo un itinerario che, ripercorso con più critico rigore, restituisce a questo artista quel posto che di diritto gli spetta nel panorama della pittura del suo tempo. Sul tema è oggi d'obbligo il rinvio al lucido bilancio offerto da una monografia di largo respiro e fascino che l'autore (Corrado Carano, Paolo Gamba Ed. Lampo, Campobasso, 1984) suggella con un puntuale contrappunto iconografico.

Dei Gamba merita qui un cenno anche PLACIDO, uno dei due figli di Paolo, il quale è menzionato in non pochi documenti nel suo duplice impegno di pittore ed orologiaio.


PIETRO RAMAGLIA (Ripabottoni, 1802 - Napoli, 1875) fu professore di anatomia patologica all'università di Napoli. Entrato negli 'studi privati' della città nel 1833, aprì nell'ospedale di S. Maria di Loreto un gabinetto anatomico che destò viva ammirazione in sommi studiosi italiani e stranieri. Nel 1840 fu accolto con generali consensi il suo Manuale di notomia topografica ; sette anni dopo apparve la Scoverta e teoria della gangrena . Il Ramaglia ebbe il grande merito di aver compreso la 'suprema importanza' dell'anatomia, la quale, egli scrisse, non va posta al servizio della sola chirurgia, ma 'deve essere sempre e fermamente volta allo scopo dell'applicazione a tutte le cose della medicina, cui può essere di vantaggio'.

Il Ramaglia fu clinico di fama mondiale. Il suo 'metodo diagnostico' è illustrato in un saggio del professore Domenico Capozzi, che del grande suo maestro mette in luce 'la logica stringente, l'originalità del pensiero, la chiarezza di dettato, la profondità di dottrina' e le geniali proposte intese a riordinare gli studi medici delle università.

Medico privato del Re Ferdinando II, in una corte non certo priva di invidia ed intrighi, nei tempi oltremodo difficili che segnarono la fine dei Borboni e del Regno di Napoli, il Ramaglia mantenne intemerato l'animo ed alta la stima del cittadino. E nell'esercizio privato della professione non ebbe scopo di lucro: il giovedì di ogni settimana visitava gratuitamente i poveri e spesso veniva loro in soccorso nell'acquisto delle medicine.

Il Ramaglia fu autore di un folto numero di monografie, di relazioni e di studi rimasti inediti.

Uscirono postumi nel 1876 i suoi Studi sulla meningite basilare granulosa ai quali, scrive la moglie, aveva lavorato per quarant'anni ' in dolce soddisfazione, nell'intento di lenire i guasti di una malattia che per la sua grave indole toglie la vita ad una infinità di bambini'.


TITO BARBIERI

Nacque a Ripa il 18 ottobre 1821, cinquantatré giorni dopo la morte del padre, ucciso con altri tre cittadini mentre si recava ad un convegno di Carbonari. Educato dalla madre negli stessi ideali paterni, fu tra gli animatori del partito che nella nostra provincia cospirò contro il regime borbonico.

Il 6 maggio 1852 fu rinviato a giudizio dalla Gran Corte Criminale per atti di cospirazione compiuti nel 1848 a Campobasso e per aver incitato gli abitanti di altri centri molisani ad armarsi contro l'autorità civile. Condannato a morte 'col terzo grado di pubblico esempio' e dichiarato 'pubblico nemico', sfuggì alla pena riparando a Marsiglia. Più tardi, a Parigi, combatté nelle giornate del 1862. Arrestato sulle barricate, si rifugiò nel Belgio, e trovò poi amichevole asilo in Inghilterra.

Amico del Mazzini, eseguì delicate missioni di propaganda per la Giovane Italia. Combatté per la libertà della Grecia e di nuovo fu esule a Costantinopoli, in Egitto, a Malta. Ufficiale delle guide garibaldine, combatté a Milazzo, in Calabria e nella battaglia del Volturno.

Appassionato di armi, il Barbieri fu provetto schermitore: incrociò la sciabola con Garibaldi e durante l'esilio in Inghilterra aprì una scuola di scherma; a lui si attribuisce l'invenzione del fucile ad ago.

Il generoso patriota morì il 2 febbraio 1864 a Campobasso, dove fu sepolto.

Lasciò al paese natale la sua casa, oggi sede del Municipio, ed il ricco compendio di tutti i suoi beni.

Nacque a Ripabottoni il 7 gennaio 1884 ARTURO GIOVANNITTI, una delle voci più appassionate in difesa dei diritti e della dignità degli emigrati italiani in America.

Avviato agli studi umanistici, egli si reca ancora adolescente nel Canada, dove trova accoglienza in una comunità protestante. Compiuti i corsi di teologia alla Mc Gill University di Montreal, viene inviato in missione come assistente pastore negli Stati Uniti. Nella nuova sede, colpito dalle tristi condizioni degli immigrati, aderisce al movimento sindacale rivoluzionario. Allo scoppio dello sciopero del 1912 a Lawrence, il sindacato lo invia sul posto con i suoi migliori organizzatori, tra i quali gli italiani Giuseppe Ettor, Carlo Tresca, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Funestato dallo scoppio di una carica di dinamite e dalla morte di una operaia italiana, lo sciopero che si disse 'del pane e della rosa' viene contrastato con dura reazione padronale. Il Giovannitti, con i compagni Ettor e Caruso, è processato a Salem per concorso in assassinio. Ed a Salem egli va incontro al momento più alto della sua vita.

Giovannitti ha l'eloquenza nel sangue. Dai classici ha appreso a renderla sobria e vigorosa e, come nell'antica Grecia e Roma, egli perora la causa di persona, scrivendo una mirabile pagina in cui gli avvenimenti di quei giorni di tumulti, i personaggi e le loro azioni, rivissuti sul filo di un'accorta analisi psicologica, sono drammatizzati con vigorosa efficacia.

L'avvenimento ebbe un'eco commossa in Europa e in tutto il mondo civile. In Italia si tennero comizi in ogni più piccolo centro. Nel paese natale, animato dall'avvocato Alberto Barbieri, operò un comitato per la difesa degli arrestati. Mussolini, allora esponente del Partito Socialista, parlò in difesa degli accusati in vibranti riunioni tenute in Emilia, in Romagna, in Puglia; scrisse articoli e presentò mozioni fino alla vigilia della sentenza assolutoria.

Dopo il processo, Giovannitti fu attivo nella propaganda contro l'intervento militare degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale e, più tardi, si distinse quale esponente dell'antifascismo italo-americano. Si adoperò per salvare dalla sedia elettrica gli infelici Sacco e Vanzetti e percorse in lungo e in largo gli Stati Uniti chiedendo giustizia per Carlo Tresca, ucciso in un agguato a New York nel 1943.

Direttore di giornali e riviste, il Giovannitti scrisse in carcere a Salem, in un inglese finemente filtrato, un libro di poesie; e numerose altre lasciò in lingua italiana, soffuse di accorata nostalgia per la casa e la terra natale; curò traduzioni della lingua francese; fu autore di drammi e bozzetti sociali.

L'uomo che credé 'nell'amore del prossimo, nella bontà, nell'arte, nella libertà e nella giustizia, sua ancella, in Dio e in chiunque Egli sia', morì a New York nel 1959.

* * *

Il dramma degli emigrati, che segnò nel profondo la vicenda terrena del Giovannitti, allunga tuttora la sua ombra sulla terra natale.

Nel 1865 la Comunità contava 4917 abitanti. Con l'Unità d'Italia inizia un flusso emigratorio che stenta tuttora ad inaridirsi: oggi i residenti sono 739. La lunga diaspora ha allargato a dismisura i confini delle piccola patria. Nelle nuove terre, di padre in figlio, gli emigranti hanno raggiunto posti di rilievo in ogni campo dell'attività umana. La loro storia non rientra nei limiti assegnati alle presenti note. Ricorderemo qui in chiusura , per la sua vasta notorietà, un solo nome: PIERO CAPPUCCILLI. Nato a Trieste, egli è figlio di un ufficiale di marina appartenente ad uno dei ceppi familiari ripesi più antichi: nel Cinquecento un antenato, 'capo di famiglia et uomo laico', viene eletto sindaco della comunità. Dopo gli esordi triestini e il debutto al Nuovo di Milano, che lo rivela al pubblico e alla critica, l'itinerario artistico vede, in crescente successo, la presenza del baritono Cappuccilli nei più prestigiosi teatri italiani e in memorabili tournées all'estero: a Montreal, Mosca, Copenaghen, Lisbona, Londra, Chicago, parigi, Buenos Aires, Nuova York, Tokio ecc.. Il successo è esaltante. E ai raffinati esiti attinti dalla collaborazione con una schiera quanto mai eletta di direttori e registi, fa da felice riscontro la dignità formale raggiunta in sala d'incisione.

L' Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti ha dedicato al Cappuccilli una esaustiva sua voce. Ne è autore Lorenzo Tozzi. Il quale, accanto alle 'doti di presenza scenica, di ampia estensione vocale e di squisita musicalità dell'artista', mette in luce la grande sensibilità introspettiva dei personaggi. Sono doti che, 'grazie anche a una tecnica eccellente ed ad una singolare potenza di emissione' e al 'colorito bronzeo della voce', collocano il Cappuccilli nel novero dei migliori baritoni.


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