La Leggenda di Caino

Copertina de: LA LEGENDA DI CAINO Si chinò giù. Un improvviso tremito
lo contorse - la rozza
clava gli cadde a i piedi sopra il lordo,
fumido altar, le orecchie gli fischiarono
d'un ronzìo lungo e sordo
ed il cor gli salto' su ne la strozza.

Si chino' con le mani da quel tremito
spaventoso contorte
tocco' gli occhi e la fronte dell'ucciso,
allibì, non comprese, e gli passarono
fra i capelli e sul viso
l'alito e lo spavento de la morte.

Dev'era in lui la voce, o il fiato, o il rantolo
del sonno travagliato
che il malgenio de l'incubo riempie
di mostri? Le giunture gli mancarono,
[ un sudòre gelato
Correzione frase gli serro' un cerchio a le squassanti tempie.]

Lungi pei cieli vaporali ed umidi
dove l'occhio si perde,
come un occhio di sangue il sol pendeva,
giù nel fondo a la selva affaticavasi
nera e l'aure fendeva
l'ala d'un falco fra l'azzurro e il verde.

Alto silenzo intorno. Un'era - un attimo,
poi nel ciel repentino
passo' il volo de l'ombra e ne la muta
Correzione parola forse calma di quella morta solitudine
la voce sconosciuta
[forse] sul tuono e lo chiamo': Caino!

Caino! (alto d'intorno era il silenzio,
non un soffio o un flabello
per gli alberi ed i cieli freddi e fissi)
Caino! (e venia giù' da l'altitudini
e salia dagli abissi
la voce) dimmi, dove é tuo fratello?

Tumultuo' il core al fratricida. Rapido
uno sguardo sanguigno
gli fiammeggio' ne gli occhi a quella voce,
squasso' la fulva chioma di selvaggio,
e in quel silenzio atroce
la testa sollevo' con un sogghigno.

Ecco le sua vestigia, e i veli candidi,
e la rossigna pelle
dei tauri onde coprivasi i ginocchi,
or ora quando con la dura silice
fra i chiari ed umidi occhi -
colpìa ferore le belanti agnelle.

Chè qui le greggi placide e le mandrie
egli menò a l'imbelle
clade, dopo che fiacche l'ebbe fatte
a la prole e a l'aratro, quando cupido
Correzione: n'ebbe da le mammelle....
[n'ebbe da le mammelle
smunto ogni forza e vita in caldo latte.]

Òr mira l'opra mia. Per la mia opera
pertinace verdeggia
caro a spiche più dolci il giovin prato,
e pel pensiero mio risorto l'albero
del bene e del peccato
fuori de l'Eden tuo cresce ed ombreggia.

Or quando il primo frutto indurì, ruvido
De [l'opre] mie adre,
io dissi al mio fratello: Ecco il mio cuore
Spera. Andiam dunque giù nei campi e offriamolo
questo frutto al Signore
e tolga ei l'ira sua da nostra madre.

Chè il Signor che ogni forza arma e terribile
nel pugno immenso serra
diè a l'uom la signoria d'ogni sua opra,
e su le bestie che sul suol si muovono,
e nel cielo di sopra,
e ne l'acque di sotto de la terra.

Ma gli ascose il mister dei cupi baratri
e le virtù supreme
de le zolle, e onde a lui noti fosse uguale,
gli fece vieto il frutto sol de l'albero
sacro al bene ed al male,
sì che nel cor non ne scorgesse il seme.

Ma pur la donna lo guardò con cupida
brama ed osò mangiarne
e gli occhi suoi vider la luce nuova
ed ecco, or pel suo fiero desiderio
[e] sudor ,mio s'innova
e perpetua ogni pianta ed ognì carne.

Veracemente or noi siam grandi e conscii
de la nostra potenza
come il Signor tremendo ed immortale.
Vien, dunque, e poiché reso avremgli in grazia
questo frutto fatale,
benedica egli in noi la sua sapienza.

Così io dissi. Ma il suo tristo ed invido
core sdegnò e derise
la mite offerta e s'indurì in quell'ora,
e nel cieco furor de la sua rabbia
sparse sangue e interiora
di lacerate incoscìe bestie uccise.

Ne cacciò poi il pugno infra le costole
ne strappò fuori il cuore
e lo gettò sul sacro fuoco offerto,
ed io fremetti insino alle mie visceri
e gli gridai: Di certo
quest'abominio punirà il Signore.

Ma a te più caro fra l'orror de l'ostie
ch'ei t'offerse cruente
e l'acre odore de le carni arse,
ma del frutto del suolo che di lacrime
e di sudor cosparse
l'opra mia laboriosa ed innocente,

come un nodoso sterpo il fumo ignobile
che sdegnato ti rese
terra terra strisciò vile e meschino,
mentre de l'ostia orrenda il reo pennacolo
superbo come il pino
Correzione tromo dritto al tuo [tromo] ed odoroso ascese.

Tu fosti ingiusto tu che vile e inutile
a gli ozii lo serbasti
de le greggi la sù per la montagna
mentr'io per lui sudavo su le squallide
zolle de la campagna
il sudore a cui solo mi dannasti.

Tu fosti iniquo, tu che in fondo a l'anima
mi cacciasti l'invidia
per la superbia sua ed il rovello,
tu che col tuo favore e la tua grazia
tra fratello e fratello
mettesti il privilegio e la perfidia.

Or io non so che feci. Ei dorme - sveglialo,
se caro ancor t'è lui
guardalo ancor da me. - Disse, e gagliardo,
immane si levò sul fosco culmine
ed avventò lo sguardo
come una sfida a gli alti cieli bui.

Tacque. Del rosso sole inabissantesi
Correzione VALLOSO ne l'occaso brumoso
tutte le fiamme ardean - ne la sua faccia
tutti del nembo annunziatore i turbini
fra le conserte braccia
s' inquadraron sul seno arduo e [valloso.]

Autore: Arturo Giovannitti

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