RipAmici 2000

Il presente saggio è uscito, con scelta antologica, sul mensile "Poesia", n. 151, giugno 2001; inoltre, con qualche modifica, e nel contesto molto più largo di una storia della prima letteratura italoamericana, in Martino Marazzi, Misteri di Little Italy, Franco Angeli editore, Milano 2001 (pp. 160, lire 30.000).

Numerose poesie di Giovannitti, tradotte per la prima volta in inglese, appariranno inoltre l’anno prossimo nell’edizione americana del volume di Marazzi.

 

Martino Marazzi

Poesia degli italoamericani - II

Arturo Giovannitti

Arturo Giovannitti

Tra alti e bassi, periodi di intenso attivismo, addirittura di celebrità, e anni di impegno costante ma più defilato, la biografia del molisano Arturo Giovannitti (1884-1959) è fino allo scoppio della seconda guerra mondiale quella, esemplare, di un leader e in seguito di un intellettuale della sinistra americana - e proprio in quanto tale, radicato profondamente nella comunità etnica di appartenenza.

Di fatto, le tappe principali della sua vicenda sono contenute proprio all’interno della più ampia storia del socialismo e sindacalismo italoamericano, come testimonia il miglior volume sull’argomento, pubblicato nel 1991 da Elisabetta Vezzosi.

Negli Usa dal 1904 (dopo tre anni di formazione e di studi universitari trascorsi in Canada), Giovannitti abbandona ben presto la sua attività di ministro protestante nella zona mineraria della Pennsylvania per passare, con non minore slancio profetico e propagandistico, al campo del sindacalismo rivoluzionario, allora nel pieno della sua stagione più battagliera e incisiva, in seguito alla fondazione nel 1905 dell’organizzazione dell’Industrial Workers of the World (I.W.W.). Giovannitti è uno degli organizzatori e portavoce italiani di spicco all’interno del movimento: lavora a stretto contatto con Carlo Tresca (il nome più rappresentativo di quell’area, agli inizi di una decennale e focosa militanza stroncata dall’assassinio nel 1943), e scrive per fogli militanti come "La Plebe" e "Il Proletario" (che dirige brevemente nel 1911). Lo troviamo a capo di scioperi entrati nella storia: quello dei tessili a Lawrence nel Massachusetts (1912) che gli costerà il carcere, un processo per assassinio con assoluzione (è d’obbligo ricordare la sua eloquente autodifesa) e un breve momento di gloria non solo nazionale; quello di Paterson nel New Jersey (1914); quello dei sarti a Manhattan nel 1916 (a fianco del coetaneo Fiorello La Guardia).

La sua foga tribunizia ne fa una presenza fissa alle stipate assemblee operaie di quei decenni. Nel frattempo coltiva anche una vena più propriamente letteraria dirigendo o collaborando a riviste tra le più originali e innovative in circolazione nelle Little Italies ("Il Fuoco", "Vita", "Il Veltro"), nonché a quel "The Masses" intorno al quale si riunirono negli anni Dieci le intelligenze più vive del radicalismo statunitense.

Dopo la prima guerra mondiale e con il progressivo esaurimento dell’esperienza I.W.W., Giovannitti continua a lavorare negli organi di rappresentanza operaia di estrazione italiana, e si lega sin da subito ai nuovi esuli politici espulsi dal fascismo (dirige dal 1928 al 1930 l’antifascista "Il Nuovo Mondo" e fa parte della "Mazzini Society"). Due traduzioni in inglese, già di per sé significative per la piena padronanza del mezzo espressivo, sintetizzano queste due stagioni dell’impegno di Giovannitti: nel 1913, in pieno clima rivoluzionario, quella di un celebre pamphlet di Emile Pouget, Sabotage, uscito a Chicago per i tipi storici dell’editore antiestablishment Charles H. Kerr (con tanto di introduzione del traduttore); nel 1934, la trasposizione di una lunga biografia dai toni romanzeschi, esplicitamente intitolata Mussolini. Storia di un cadavere: opera dell’ex deputato socialista Vincenzo Vacirca, che, di fronte al costante rifiuto dell’editoria americana, finirà per darla alle stampe a sue spese solo molto più tardi, nell’originale italiano. Da un lato, la fama e l’"azione diretta" politica e intellettuale degli anni della leadership sindacale; dall’altro, l’indifferenza, se non proprio l’ostilità, con cui Little Italy e l’America ufficiale accolgono vent’anni più tardi un ritratto fortemente critico del Duce.

Il Giovannitti anziano e abbandonato dell’ultimo periodo riemerge a distanza di decenni come personaggio della toccante autobiografia di Giuseppe Tusiani (La parola difficile, 1988), uno dei suoi principali esegeti.

La poesia di Giovannitti è agevolmente documentabile attraverso due volumi collettanei apparsi poco prima e poco dopo la morte, a cura di un altro editore socialista di Chicago, il triestino Egidio Clemente, direttore della "Parola del Popolo": Quando canta il gallo (1957) e The Collected Poems of Arturo Giovannitti (1962). Si tenga però presente che molte prove liriche, così come la cospicua produzione in prosa (perlopiù caratterizzata da un opinionismo accesamente e fumosamente profetico), andrebbero rintracciate nelle originali sedi di pubblicazione; e che, inoltre, Giovannitti non mancò di dare il suo contributo al teatro italoamericano (un titolo eloquente: "Come era nel principio" (Tenebre rosse), dramma in tre atti datato 1918).

Nella pratica politica, nell’attività pubblicistica e nella scrittura creativa, il bilinguismo di Giovannitti ha modo di esplicarsi con frondosa abilità. Bilinguismo che assume un significato più pregnante nel caso di testi composti sia in italiano che in inglese; a proposito dei quali, l’incertezza che spesso circonda le date di composizione e soprattutto la notevole libertà nel passaggio da una versione all’altra suggeriscono una relativa autonomia dei singoli ambiti espressivi, accentuata caso per caso dall’esibizione di strategie retoriche fortemente rappresentative delle rispettive letterature nazionali: Whitman e il suo verso libero, Markham e certa poesia sociale e impegnata di primo Novecento (Tusiani indica tra gli altri i nomi di Sandburg e di Vachel Lindsay); il Carducci e il D’Annunzio più tirtaici, il maledettismo di Stecchetti appaiato alla prosopopea di Rapisardi, modulati all’occorrenza secondo i ritmi della terzina dantesca (Parole e sangue è il titolo non casuale di un’altra importante raccolta).

Al di là della varietà degli esiti particolari e della maggiore o minore felicità espressiva, al di là dello sfoggio lessicale e metrico, importa rilevare questa giustapposizione di italiano e di inglese che finisce per dar vita a due esperienze poetiche contigue, ideologicamente omogenee, eppure distinte. Giovannitti si vede e si costruisce come bardo del popolo lavoratore italoamericano; ma la mancata fusione delle due tradizioni di riferimento sembra riflettere, con le caratteristiche accensioni "sublimi", il travaglio dell’assimilazione sperimentato dal suo pubblico.

Considerazioni linguistiche e sociologiche a parte, l’impatto con i testi, se serve ad acclimatarsi con uno stile, non diremmo personale, ma certo assai riconoscibile, consente altresì di testimoniare il generale fallimento dell’intera operazione.

Esistono (sopravvivono?), certo, pezzi percorsi da un’energia, da una carica verbale e immaginativa generosa e inconfondibile; inni, ballate, narrazioni in prosa ritmica che a tratti mostrano una certa vibrante densità, un’accensione bene espressa. Ma proprio la possibilità, offerta dai due volumi antologici, di una lettura ampia di quest’opera ne mette in luce quasi epidermicamente l’eccesso retorico, l’insopportabile vaghezza, le lungaggini, la tronfia e miope enfasi rivoluzionaria.

Non va dimenticato che la poesia di Giovannitti non si esaurì con la stagione I.W.W., ma che conobbe un lungo "secondo tempo" segnato negativamente, proprio a livello espressivo, da una visione trionfalistica, palingenetica e agiografica della rivoluzione sovietica. L’entusiasmo si trasforma allora in piaggeria non petita e a distanza, creando un effetto che Tusiani, assai benevolmente, definisce di "buffa propaganda politica".

La (relativa) reperibilità delle raccolte ha poi permesso lo sviluppo di un sia pure esiguo discorso critico, il quale ha avuto anche la funzione primaria di segnalare, con larghezza, i titoli e i passaggi meno censurabili dal gusto dei posteri. Il Giovannitti peggiore è forse meno ingannevole e più "esemplare"; ma la fortuna di altre pagine, meno irrisolte, garantisce la continuità dell’attenzione tributata da lettori avvertiti e minimamente attrezzati da un punto di vista storico-letterario ed erudito. È la sua contraddizione più palmare: quella di voler essere cantore del proletariato esibendo con soffocante solerzia un inibente armamentario retorico e nozionistico; punctum dolens di una lunga tradizione retorica interna al movimento operaio e socialista, nonché di un ricco retroterra letterario ottocentesco, ma che in Giovannitti informa con "buffa" e a tratti perversa inefficacia un intero percorso creativo.

Non potendo per motivi di spazio largheggiare con il testo a fronte, le scelte finiscono per essere quasi obbligate: a partire da quel The Walker (qui Colui che cammina), apparso nel 1912 niente meno che sul prestigioso "The Atlantic Monthly" e nel 1914 nella prima e più preziosa plaquette dell’autore, Arrows in the Gale. (Varie le versioni in italiano circolanti oltreoceano; quella dello scultore e poeta Onorio Ruotolo, evidentemente approvata da Giovannitti, ebbe l’onore di un volumetto autonomo uscito nel 1950). Una ballata carceraria, in cui l’occasione autobiografica si trasforma in ossessione e "implorazione" (Tusiani), sostenuta da un ritmo lento e cupo. Giovannitti è più efficace quando riesce a soffermarsi su un oggetto o una figura, sfuggendo almeno temporaneamente al suo stesso sermocinare: qui, i passi del walker e il tintinnìo della chiave; nell’inno al Lavoro, l’elenco delle città invocate, mediante un’ipotiposi tra il dantesco e l’espressionista; in Un comizio a Madison Square, il giovane oratore e il manipolo dei suoi spettatori. Altrove prevalgono andamenti popolareggianti, come nella Nenia Sannita (parecchi i modelli additabili, da Parzanese a Carducci e a Trilussa; nello svolgimento del tema è sensibile la differenza tra il testo inglese e quello italiano); o, ancora, un’invocazione manieristicamente atteggiata a una vindice violenza giustiziatrice (Il canto della scure). Rilette oggi, a neppure molti decenni di distanza, appaiono poesie recuperabili solo nell’ottica di una serena valutazione storiografica; eppure si tenga presente che, esauritasi la fiammata di inizio secolo, nel nome di Giovannitti una certa cultura italoamericana continuerà a riconoscersi e ad autocelebrarsi - anche con un premio apposito - sino alla fine degli anni Settanta, in sostanza sino all’altroieri.

Autore: Martino Marazzi
Indirizzo/i di posta elettronica: m.marazzi@flashnet.it


H O M E

Programmzazione HTML: Walter La Marca